Articoli su Giovanni Papini

2012


Gennaro Cesaro

Le occasioni napoletane di Giovanni Papini: gli editori Ricciardi e Casella

Pubblicato in: Nuova Antologia, anno 147, fasc. 2263, pp. 366-368
(366-367-368)
Data: luglio - settembre 2012



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   Nel 1907, presso l’editore napoletano Riccardo Ricciardi – a quel tempo uno dei marchi editoriali più in voga nel panorama culturale nazionale – Giovanni Papini pubblicò la raccolta di racconti Il pilota cieco, una delle opere che individuano significativamente gli esordi letterari dello scrittore fiorentino.
   Sul conto di quell’editore c’è da sottolineare che, se da una parte si faceva apprezzare per l’assoluta cura estetica dei suoi prodotti, di cui l’esempio più vistoso e acclamato resta la mitica collezione dei classici italiani, con le copertine di un inconfondibile color avorio, dall’altra era un po’ la croce dei suoi autori, non essendo molto puntuale nel pagamento dei diritti maturati.
   La missiva inedita qui proposta ai lettori fu occasionata dalla dinamica contrattuale relativa al libro poc’anzi menzionato.
   Il messaggio reca l’intestazione della nota rivista che Papini aveva fondato nel 1903 e diretto sino alla cessazione delle pubblicazioni: «Leonardo, rivista di idee – Firenze, Borgo degli Albizi 14 – direzione».

   20/III/1907

Caro Ricciardi, ebbi la sua lettera e stamani il contratto.
   Le accludo il suo firmato da me e le spedisco altre sette novelle con l’ordine di sistemazione.
   Aspetto l’anticipo fissato e, fra poco, le prime bozze, che rispedirò a volta di corriere.
   Avanti che il volume sarà finito di comporre le manderò una prefazione e altre novelle.

   Mi creda sempre
Aff.mo G. Papini


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   Quello con Riccardo Ricciardi non fu il solo rapporto che l’autore di una memorabile Storia di Cristo ebbe con gli ambienti culturali napoletani.
   Infatti, nel capoluogo campano lo scrittore si recò di persona nel mese di aprile 1930, per far visita al libraio, poi anche editore, Gaspere Casella, il cui negozio era allogato in piazza Municipio.
   Lo scrittore ritornò a Napoli nell’ottobre 1939, da poco nominato accademico d’Italia, per tenervi il discorso ufficiale, in occasione della traslazione dei presunti resti mortali di Giacomo Leopardi nel Parco virgiliano.
   Vi fece ritorno una terza volta nel 1954, ormai malato, per sottoporsi – incredibile, ma vero! – alle cure di un fantomatico «mago di Napoli».
   Senz’alcun risultato positivo, naturalmente.
   A memoria del cordiale incontro di Papini col libraio-editore napoletano Gaspare Casella, presso il cui negozio lo scrittore toscano soleva recarsi ogni volta gli bisognava un testo raro, o irreperibile, resta una bella foto, che ritrae insieme i due personaggi, sull’uscio della libreria, con la seguente dedica: «Al più artista dei librai italiani, a Gaspare Casella, al lieto martire dell’amicizia, il suo Giovanni Papini. Aprile 1930».
   Non pago di questo primo attestato di profonda simpatia, l’autore di Un uomo finito di lì a poco inviò al Casella la lettera, a tutt’oggi inedita, qui appresso riportata.

   Pieve Santo Stefano (Arezzo)
18 aprile 1930


   Caro Casella,
   non le scrivo per accrescere la sua raccolta di autografi: sarebbe un cul di bicchiere. Ma voglio ringraziarla ancora una volta, e con tutto il cuore, della compagnia geniale e paziente che mi ha fatto a Napoli e chiederle scusa per tutto il tempo che le ho fatto perdere.
   Unico compenso per lei, se compenso si può chiamare, questo: che ormai nel mio spirito Partenope e Casella sono associati insieme per sempre, senza contare Cuma e l’irragiungibile Paestum.
   A lei devo se ho visto e goduto spettacoli che forse mi sarebbero sfuggiti e se ho di Napoli, ora, un’idea infinitamente più ricca di prima.
   Mi ricordi a tutti i nuovi amici di costà; al tonitruante Lagorio 1 – al sirenico Cerio 2, al delicato e sottile Artieri 3, al pensoso Marone 4, mentre all’angelico filosofo Angelo Conti 5 scriverò lungamente uno di questi giorni.

   Suo Giovanni Papini


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   In merito ai rapporti dello scrittore toscano con gli ambuenti culturali del capoluogo campano resta soltanto da aggiungere il particolare che egli fu collaboratore del quotidinao locale «Il Mattino» dal 1928 al 1933.
   Tutt’altro che trascurabili, a ben vedere, le frequenti intersecazioni tra la cultura toscana e quella napoletana, a cominciare dal Trecento, che fece registrare nel capoluogo campano le auliche presenze di Giovanni Boccaccio, che vi rimase sino al 1340, per farvi pratica mercantile, e di Francesco Petrarca, il quale vi giunse una prima volta nel 1340 e una seconda volta nell’ottobre 1343.
   Di particolare spessore storico la visita che vi compì Renato Fucini, che ci arrivò a fine aprile 1877, rimanendovi sino alla fine di maggio dello stesso anno, sotto la guida avveduta del noto meridionalista Giustino Fortunato, a quel tempo giovanissimo, travasando alla fine della sua scrupolosa ricognizione il magma delle impressioni e dei giudizi nel fortunato libro Napoli a occhio nudo (1878).
   I rapporti tra la cultura toscana e quella napoletana toccarono il loro apice nel Novecento, com’è tangibilmente attestato dalle iterate visite di Giuseppe Prezzolini a Benedetto Croce; dalla presenza di Curzio Malaparte, che proprio a Napoli ambientò la corrusca raccolta di racconti La pelle (1949), oggetto di esagitate reazioni e rimostranze da parte della civica amministrazione partenopea; dai lunghi soggiorni di Vasco Pratolini, ospite di suoi parenti napoletani, ambientando nel capoluogo campano l’acclamato romanzo Un eroe del nostro tempo (1949), fino a Indro Montanelli, il quale proprio in un albergo napoletano presentò al pubblico, nel 1974, il suo quotidiano «Il giornale», la cui testata ricalcava, guardacaso, un omonimo foglio di Napoli d’ispirazione liberal-monarchica uscito dal 1945 al 1957.


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